The big one: il Grande Anello dei Sibillini in un giorno


Risalivo la strada del Fargno, erano circa 14 ore di marcia e mancavano pochi tornanti perché portassi a termine il mio primo Grande Anello dei Sibillini in un giorno. Ero solo in mezzo alla montagna, ormai andavo avanti spinto da una forza che neppure io sapevo di avere. Quando ormai la stanchezza aveva preso il sopravvento sulla ragione, giuravo a me stesso che quella sarebbe stata la mia ultima volta. Ma già nel momento in cui giuravo, sapevo anche che stavo mentendo a me stesso. C’era qualcosa che non mi rendeva del tutto soddisfatto. Mancava solo la tappa di Fiastra per chiudere tutto il Grande Anello, una ventina di km per realizzare un mio vecchio sogno nel cassetto. Una manciata di km che già nella mente risuonava come la mia prossima sfida personale.

Non era finita l’estate che con Giuseppe avevamo già iniziato a fantasticare. Entrambi avevamo già fatto il Grande Anello in un giorno quindi sapevamo perfettamente a che cosa saremmo andati incontro.
Questa volta però sarebbe stata diversa. Riprovare significava non accettare compromessi. L’idea era quella di alzare ancora una volta l’asticella, di tentare quella manciata di km in più che ci avrebbe permesso di completare tutto il Grande Anello in forma integrale.
Una sfida ambiziosa e che, per quanto ne sapevamo, nessun’altro aveva mai tentato.
Per realizzare il nostro sogno dovevamo percorrere 140 km su sentieri di montagna e superare oltre 5.000 metri di dislivello. Avevamo messo in preventivo la necessità di partire di notte e di finire quando la luna del giorno dopo sarebbe stata di nuovo alta.
Sapevamo tutti e due quanto sarebbe stato difficile ma, per entrambi, questo non era un valido motivo per non tentare.
Sostenendoci uno con l’altro, abbiamo iniziato a prepararci duramente. Avevamo dieci mesi per provare a realizzare il nostro inutile sogno.

Fiastra, 04/07/2015

Sono le tre e mezza della notte. Mentre risalgo le gole del Fiastrone noto qualche tornante sopra di me un fascio di luce che spezza il buio della notte. Va e viene seguendo l’andamento tortuoso della strada. Sono i fari di una macchina che mi precede in direzione Fiastra. “A quest’ora non c’è un cane che cammina da queste parti“, penso dentro di me. “E’ sicuramente Giuseppe che mi precede. A quest’ora non può essere nessun altro”.
Arrivo a Fiastra. Il paese è deserto. C’è solo lui in mezzo alla piazza. E’ appena arrivato e ha già preparato tutto il necessario per affrontare la giornata.
Siamo di poche parole questa mattina, i volti di entrambi sono tirati e lasciano trasparire tutto il timore per la giornata che verrà. Ci siamo preparati duramente quest’inverno ma ora è arrivato il momento della verità. C’è agitazione per ciò che stiamo per affrontare.
Le lampade frontali si accendono alle 4 in punto e, con i favori della luna piena, iniziamo la lunga salita che da Fiastra sale in direzione dei Piani di Ragnolo.
Arriviamo in quota quando inizia ad albeggiare.




E’ l’alba di un nuovo giorno. Affrontare la montagna con le prime luci della giornata ha sempre qualcosa di speciale e mi emoziona sempre come se fosse la prima volta.
Un tiepido sole inizia a riscaldare dopo il fresco della notte. E’ una sensazione piacevole e rassicurante. Sento tutta l’energia del nuovo giorno, un buon auspicio per la giornata che stiamo per affrontare.
Il sole si è ormai staccato dall’orizzonte quando arriviamo a Pizzo Meta.




Abbiamo terminato il primo grande dislivello della giornata. Proseguiamo in direzione sud-est spostandoci lungo il versante adriatico. In circa 3 ore raggiungiamo il Balzo Rosso. Dal Balzo Rosso si prosegue in un faticoso saliscendi che ci permette di attraversare in successione le valli dell’Ambro, del Tenna e dell’Aso.

Nonostante siano trascorse alcune ore dalla partenza, siamo ancora all’inizio della nostra avventura. Stiamo attraversando un tratto molto faticoso e con molto dislivello da superare. Procediamo lentamente cercando di dosare al meglio tutte le nostre forze.
Dalla partenza sono trascorse oltre 4 ore in continua marcia. 
Questo continuo saliscendi ci sta mettendo a dura prova. Accuso troppa stanchezza, sento che qualcosa non sta andando nelle gambe e nella testa. Abbiamo percorso una quarantina di km e di fronte ce ne sono altri cento. Proseguo in queste lunghe risalite con sempre maggiore difficoltà. Avverto uno strano senso di paura, la paura di non riuscire. 
Mentre combatto contro me stesso e le mie paure, davanti a me c’è sempre lui, Giuseppe, il mio costante punto di riferimento. 
Giuseppe è un uomo di montagna. Usa poche parole ma ogni parola è quella giusta. Pazientemente mi aiuta a superare questo duro momento trasmettendomi quel senso di fiducia che sentivo mancare. 
Ad Altino facciamo una prima sosta prima di imboccare il sentiero dei mietitori.
Il sentiero dei Mietitori è un’antica via di comunicazione che, fin dai tempi più remoti, permetteva ai braccianti della zona di spostarsi nel versante umbro durante il periodo della mietitura





Attraversare quei prati mi da una sensazione di grande libertà. Qui tutto è avvolgente, il tempo sembra che si sia fermato e il silenzio è interrotto solo dai suoni della natura. E’ un’atmosfera magica, che ti rapisce e allo stesso tempo ti fa sentire un intruso
Superato Colle Galluccio, il sentiero prende quota aggirando il Vettore. Proseguiamo all’interno di una vasta pineta che copre la base del versante sud-orientale del Vettore.
Da fonte delle Cacere iniziamo a scorgere Forca di Presta che raggiungiamo in circa mezz’ora di marcia.
Superato il Rifugio degli Alpini ci spostiamo in direzione Forca Canepine. La pista prosegue alterniamo i due versanti della montagna, in bilico tra le Piane di Castelluccio e la vallata del Tronto.
Dominiamo dall’alto la conca di Amatrice. Il panorama è grandioso e spazia dal Gran Sasso fino al lontano Terminillo.
Siamo nella parte più a sud del Parco. Abbiamo già percorso una settantina di km e più o meno siamo a metà del Grande Anello.
Al rifugio Colle Le Cese sostiamo cercando di riacquistare un po’ di quell’energia fin qui consumata.
Sono circa le 3 del pomeriggio quando riprendiamo la marcia seguendo la direttrice che da qui risalirà in direzione nord.
Ora mi sento bene, le difficoltà che avevo sofferto fino a poco tempo prima sembrano essere finite. Sono io ora che batto la traccia in questo lungo e ripido tratto che sale fino al Monte delle Rose




Superate le dure rampe sotto la vetta del Monte delle Rose, proseguiamo lungo una vecchia pista di transumanza che percorre l’intera dorsale fino al Monte Cardosa
Rimaniamo per oltre un’ora lungo quella cresta, alternando i due versanti della montagna. Proseguiamo l’uno dietro l’altro, accompagnati da questi meravigliosi paesaggi che hanno reso la nostra avventura unica e indimenticabile
Ora la pista scorre veloce e senza intoppi. Rapidamente guadagniamo diversi km sulla tabella di marcia
Attraversata Costa Cavolese, una piccola sella alle pendici del Monte Cardosa, c’è ancora un ennesimo valico da superare prima di iniziare la lunga discesa su Visso.
Arriviamo a Visso quando abbiamo già percorso 115 km su sentieri di montagna. Sono le 18.30 e il sole ormai ha iniziato la sua discesa dietro le cime delle montagne. Di fronte a noi ci sono altri 25 km e l’ennesimo grande dislivello da superare. Il timore di dover attraversare la montagna nel buio della notte è ormai diventato un fatto certo.
A Visso facciamo una sosta. Alla fonte rinfreschiamo la pelle ormai bruciata dal rovente sole di luglio.




Ci facciamo forza l’uno nell’altro e timidamente ci prepariamo ad affrontare quest’ultima durissima prova.
Saliamo a Macereto in circa un’ora e mezza. Il sentiero attacca fin da subito con forte pendenza e la bici è un’inutile fardello da portare sopra le spalle. Sono sette km quelli che separano Visso da Macereto, sette interminabili km che non dimenticherò più.
Arriviamo a Macereto quando ormai il sole sta lasciando il passo alla luna: da ora in poi, per le prossime due ore, vagheremo soli nel buio della notte
Proseguiamo in direzione Cupi quando oramai le forze sono allo stremo.
In lontananza sentiamo abbaiare i cani pastori. Si agitano alla vista di quelle due lucine che, come lucciole nelle notti d’estate, vagano lungo i ripidi pendii della montagna.
Avanziamo per oltre un’ora in condizioni di assoluta precarietà. Il pendio è difficile e le timide luci delle lampade frontali sono appena sufficienti a svelarne tutte le avversità. Siamo soli, in balia di quella montagna che nell’oscurità sembra infinita. Proseguiamo con gesti automatici. Il buio della notte nasconde tutti i punti di rifermento, perdiamo la cognizione visiva dello spazio che dobbiamo attraversare. Non c’è più strategia, non c’è più piano d’azione ragionato, ci rimane solo la forza di volontà che non si vuole arrendere al dolore. Il limite è ormai stato raggiunto. D’ora in poi conta solo l’istinto che in quel momento ci imponeva di proseguire.
Il pendio diventa sempre più dolce quando di nuovo raggiungiamo una sella a quota 1350 mt slm. Usciti dal bosco ritroviamo un’inaspettata energia che ci spinge in questo ultimo tratto dove non c’è più salita. Spinti da una crescente adrenalina proseguiamo in quegli ultimi metri che ci separano dal punto più alto.




La luna piena illumina il profilo delle montagne e proietta le nostre ombre sulla strada; dopo tante ore trascorse nella solitudine della montagna iniziamo a scorgere i primi segni della civiltà. A fondo valle la vita non si mai fermata ed ora ci riappare sotto forma di tutte quelle luci che illuminano paesi, strade e auto in movimento.
E’ un momento di straordinaria intensità emotiva ed io non sono più in grado di contenere le mie emozioni. Sento scorrere sul mio viso lacrime di gioia mentre lascio dietro di me gli ultimi km di questa formidabile avventura.
Dopo quasi venti ore facciamo rientro laddove tutto ha avuto inizio. La piazza è vuota così come l’abbiamo lasciata la notte precedente.
La montagna si è appena aperta e ci ha permesso di realizzare il nostro sogno. E’ un privilegio che non viene concesso a tutti e per questo le saremo sempre grati.

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Scrivo questo racconto dopo alcuni mesi da quell’indimenticabile 4 luglio 2015.
Ancora oggi mi prende la pelle d’oca se ripenso a quegli immensi spazi, all’alba al tramonto, alle tante emozioni provate lungo questo fantastico cammino.
Ora che è tutto finito, credo che affrontare un’esperienza al limite sia soprattutto un’esperienza emotiva di straordinaria intensità. Sensazioni di segno contrario si alternano e si accavallano le une sulle altre. Le emozioni sono uniche ed è impossibile trovare le giuste parole per descriverle.
Credo che vivere esperienze come questa sia un pò come andare alla scoperta di se stessi. Spingersi dove non sei mai arrivato significa scendere verso l’ignoto e ti permette di scoprire quegli aspetti di te che neppure immaginavi di avere.
In queste circostanze speciale è il legame con il tuo compagno di avventura. E’ con lui che hai deciso per realizzare il tuo sogno. Lui si fida di te almeno quanto tu ti fidi di lui. E’ sua la forza che ti spinge nei momenti in cui vorresti mollare. Quando tutto è finito, solo lui potrà capire fino in fondo ciò che hai fatto perché solo lui ha provato ciò che tu hai provato.

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Dedico questo racconto perché desidero ringraziare:
a Giuseppe Testa, amico sincero e instancabile compagno di viaggio. Per tutti mentore di umiltà, determinazione e generosità nei momenti di bisogno. Senza di lui tutto questo non sarebbe stato possibile. La storia di queste montagne lo ricorderà come il primo uomo ad aver violato il Grande Anello dei Sibillini in un giorno;
a mia madre, che con il suo esempio mi ha insegnato a lottare fino all’ultimo senza arrendermi mai. Nella solitudine di quella notte stellata, quando ormai avevo speso tutto me stesso, ho sentito molto forte la sua presenza vicino a me.
Mi piace pensare che questo sia stato il suo modo di complimentarsi per ciò che stavo per realizzare. Nonostante siano trascorsi molti anni da quando non c’è più, la sua amorevole mano non ha mai smesso di spingermi verso la giusta direzione;
a mia moglie Roberta e ai miei figli Matteo e Laura, che ancora una volta hanno compreso i miei sogni e con pazienza mi hanno permesso di realizzarli. Sono loro che danno un senso alle mie follie.

MTBikers: Giuseppe Testa – Fabrizio Castelli
Foto e Testi: Fabrizio Castelli

L'articolo è stato pubblicato per la prima volta su Sibillini bike map

 

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