Guarda che te frego lo sale: una storia dimenticata delle campagne maceratesi


Foto tratta dal sito del Comune di Gualdo

“Cerescià me dai na cerescia?
No.
Noo? Guarda che te sego la pianda
Sega, sega, sega…”

Questo scambio di battute, alla base di un semplice quanto antico passatempo che si tramanda da generazioni e che ha fatto divertire nonni e nipoti, non ci parla solamente di un ciliegiaio. Ci parla di una storia ben più profonda: quella dei piccoli dispetti, sotterfugi e trucchi che venivano usati nelle nostre campagne per sopravvivere quando le risorse naturali erano scarse e persino una ciliegia valeva qualche rischio.




Ma se tutti hanno sentito da genitori, nonni o zii i racconti dei rocamboleschi furti di frutta che da ragazzini costituivano un divertente e “fruttuoso” passatempo, ben pochi conoscono la storia che riguarda il sale. Noi l’abbiamo scoperta qualche tempo fa grazie ad un libro prezioso: “Macerata e il suo territorio – il paese” (scritto da Dante Cecchi e parte di una serie di pubblicazioni realizzate per la Cassa di Risparmio della Provincia di Macerata) e ve la vogliamo raccontare.

Tasse e gabelle non sono, e non sono mai state, ben viste dalla popolazione. Questa antipatia diventa ancor più esasperata quando i tributi toccano beni di prima necessità. Il sale, nelle campagne del maceratese era sicuramente ascrivibile sotto tale categoria. Usato per il condimento dei cibi o per la conservazione della carne (tuttora la lavorazione del maiale viene spesso chiamata “la salata”) era senza alcun dubbio un bene necessario. 


Si da il caso che il territorio dell’entroterra maceratese sia ricco di sorgenti naturali, da molte di queste sorgenti sgorga acqua dalla quale, previa opportuna bollitura, si ottiene il sale: su questo la toponomastica ci viene in aiuto, basti pensare al torrente Salino che scorre nei pressi di Penna San Giovanni o alla frazione di Sant’Angelo in Pontano denominata per l’appunto Saline. Da qui nasce la domanda che si ponevano i contadini e che il Cecchi riporta nel suo ragionamento “[…] uno dei problemi più molesti per l’amministrazione dello Stato Pontificio e poi del Regno italico (e persino del Regno d’Italia) fu lo sfruttamento delle sorgenti saline da parte dei contadini e dei paesani del maceratese e del Camerinese per evitare la detestata tassa sul sale. Perché doversi rifornire obbligatoriamente ai magazzini spesso umidi ed ammuffiti dello Stato, pagando il sale a caro prezzo, quando la natura era stata prodiga di decine e decine di sorgenti naturali?” (1)

Le varie amministrazioni che nel corso dei decenni si alternarono applicarono metodi più o meno repressivi nei confronti di questa “evasione”, ma dovettero scontrarsi sempre con la tenacia e la furbizia della popolazione locale.
Dopo la breve parentesi napoleonica le Marche ritornano sotto lo Stato Pontificio, il quale decise di escogitare un meccanismo apparentemente inattaccabile: i comuni dovevano acquistare 10 libbre di sale per ogni cittadino. Contestualmente il comune avrebbe versato allo stato centrale l’importo dovuto riscuotendo a sua volta la tassa dai cittadini. Ancora una volta il Cecchi ci fornisce la soluzione messa in campo dai comuni per aggirare l’arguto meccanismo tributario: “In un tempo in cui la statistica non era una scienza così formalmente perfetta come è ai tempi nostri ed i registri dello stato civile erano affidati ai parroci, i comuni cominciarono col denunciare un numero di abitanti inferiore a quello reale” (2)


Attraverso questi sistemi, trattandosi di povera gente, e grazie al fatto che lo Stato Pontificio non brillasse certo per una burocrazia particolarmente efficiente la tassa venne parzialmente scansata fino all’avvento del Regno d’Italia. Finché lo Stato non mise in campo rimedi più drastici, arrivando a far saltare con la dinamite le fonti di acqua salata. Interessante ancora una volta la testimonianza personale, risalente alla seconda guerra mondiale, riportata sempre da Dante Cecchi: “Tra Gualdo e Sant’Angelo in Pontano e Penna San Giovanni scorre un torrentello, il Salino: un nome dal chiarissimo significato. Nel maggio e nel giugno del 1944, all’avvicinarsi da sud delle truppe alleate e con l’intensificarsi della vigilanza aerea, la fornitura del sale in quelli ed in altri paesi cessò, e la gente fu costretta a tornare ai metodi degli antenati: i contadini caricavano su botti poste sui “birrocci” trainati da coppie di buoi l’acqua salata, che poi facevano bollire fino a ricavarne un sale giallastro. Con l’arrivo delle truppe italiane ed alleate, alla fine del giugno, il sale non arrivava ancora, ed il sistema della bollitura dell’acqua salata continuò, anche se con maggiore prudenza e solo di notte. Ma tale sistema era contrario alla legge: la “finanza” fece saltare in aria le fonti e la legge fu salva (più tardi arrivò anche il sale).” (3)

Ora per noi il sale è una polverina bianca che si trova comodamente inscatolata tra gli scaffali dei negozi e non è più necessario bollire l’acqua delle nostre sorgenti. Questo racconto come abbiamo visto non si perde nella notte dei tempi, ma arriva fino alla generazione dei nostri nonni. Ci aiuta quindi a ricordare com’erano le condizioni di vita nell’entroterra marchigiano fino a non molti decenni fa e forse a ragionare sul presente.




Ad anni di distanza è possibile rivivere questa storia visitando i luoghi da cui ha preso forma. A pochi chilometri dal centro storico di Penna San Giovanni si trova il Parco delle sorgenti termali di Villa Saline, situato proprio dove sorgeva la “fabbrica del sale” e nelle vicinanze dei pozzi da cui veniva estratto il sale.
E’ possibile inoltre godere del panorama attraverso una ricca rete di sentieri, circa 50 km, realizzati all’interno del progetto “Paesaggi d’acqua”. Gli itinerari si snodano tra i comuni di Penna San Giovanni, Sant’Angelo in Pontano e Gualdo e attraversano le valli del Salino e del Tennacola. Percorrendoli si incontrano mulini e antiche case coloniche immerse nello splendido scenario delle colline dell’alto maceratese.

di Simone Vecchioni

Le note (1), (2), (3) sono tratte da “Macerata e il suo territorio – il paese” di Dante Cecchi. Ed. Cassa di Risparmio della Provincia di Macerata, 1978.


Foto tratta dal Comune di Penna San Giovanni



 

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